Parlare di lutto, di perdita, di morte è sempre molto difficile: lo è perché è un tema da cui tutti vogliamo scappare, quasi che se non se ne parla non possa sfiorarci. Accade però,
inevitabilmente, che questo tema non solo ci sfiori, ma ci travolga in pieno.
Ho deciso quindi di scrivere qualche riflessione sull’argomento perché, come è noto, più si conosce un tema, meno ci terrorizza. Anche se parlare di morte terrorizzerà sempre, non tanto per la
morte in sé, quanto per il senso di irreversibilità della perdita.
Sigmund Freud definisce il lutto come una reazione affettiva, emotiva, ad una esperienza di perdita. Una perdita che sconvolge, stravolge e dissesta il nostro modo di vedere il mondo e che ci
costringe, dunque, a rivedere la nostra visione del mondo.
Per Freud, quindi, il lutto è l’esperienza dell’assenza di chi amavamo, ma poiché chi amavamo dava senso al mondo, la perdita di cui il lutto è la reazione affettiva è anche perdita del senso
stesso del mondo.
Freud ha a lungo parlato di lutto e di perdita e ha individuato tre possibili risposte soggettive all’evento luttuoso: la prima reazione è quella cosiddetta “maniacale”, la seconda è quella
melanconica, ovvero depressiva, la terza è quella del lavoro del lutto come esito positivo della depressione.
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