Dott.ssa GIULIA CAUSA Psicologa e psicoterapeuta a Treviso
Dott.ssa GIULIA CAUSA Psicologa e psicoterapeuta a Treviso

       Felicità, vai via!

Qualche giorno fa mi è capitato di ascoltare un provino per un talent musicale dove una giovane ragazza cantava una canzone che ha scritto, intitolata “cherofobia”, la sua cherofobia, ovvero la sua paura di essere felice. Mi ha colpito che una ragazza cosi giovane abbia una consapevolezza tale delle sue difficoltà da scriverci addirittura un pezzo ma, allo stesso tempo, ho trovato anche molto coraggiosa la sua scelta di raccontare davanti a milioni di spettatori una parte di sé cosi intima. Ho dunque colto l’occasione per una breve riflessione su questa tematica, molto poco conosciuta e apparentemente paradossale, la paura della felicità.

Lo stile di vita dell’uomo moderno è sempre più caotico, stressante, pieno di imprevisti più o meno complessi e, ad una prima occhiata, sempre più lontano ed incompatibile con l’idea di felicità autentica che tutti abbiamo nella nostra mente. Ci sono persone che la inseguono senza sosta, chi ha abbandonato l’idea di poterla raggiungere, chi ancora non la contempla proprio nella sua vita, perché talmente disabituato all’idea di felicità da rifiutare di accoglierla quando, per qualche attimo, si manifesta.

Tutti noi temiamo di provare emozioni negative, quali ansia, dolore, tristezza o senso di colpa. Ed è proprio questo timore che ci protegge parzialmente dal provarle, perché mentalmente ci configuriamo già le possibili situazioni che le scaturirebbero e cerchiamo di evitarle o quantomeno di esservi preparati.

Ci sono però alcune persone che soffrono di quella che viene chiamata cherofobia, ovvero la paura di provare emozioni positive, le quali hanno un ruolo fondamentale per il nostro benessere psicofisico, cosi come per il successo nelle attività intraprese. 

Nel 1997 alcuni studiosi (Williams, Chamblers e Ahrens) hanno condotto delle ricerche, giungendo alla conclusione che molte persone temono proprio quelle emozioni piacevoli, come la felicità, l’eccitazione, anche sessuale, la tranquillità etc, delle quali sentono la mancanza nella propria vita e alle quali dicono di tendere, ma in modo più o meno consapevole mettono in atto comportamenti per evitarle.

Il nocciolo del problema risulta essere il timore di perdere il controllo: come si dice anche nel linguaggio quotidiano “impazzire di felicità”, perdere, appunto, il rigido controllo e abbandonarsi alla felicità, o all’eccitazione, terrorizza alcune persone.

Nei rapporti di coppia, ad esempio, sentirsi sereni e tranquilli con il partner viene interpretato come un momento molto rischioso: quello che scatta nella mente delle persone di cui parliamo in questo articolo è il timore di trovarsi impreparati nel momento in cui accadrà qualcosa di negativo, che, a parer loro, sicuramente accadrà. Di conseguenza mettono in moto tutta una serie di pensieri negativi, quasi sempre non motivati da un reale pericolo esterno, forieri di ansia e preoccupazione, in modo da mantenere sempre alto il livello di attivazione e dunque da non farsi cogliere alla sprovvista.

Quanto scritto fino ad ora fa emergere come questa fobia abbia una forte base cognitiva, ovvero il modo in cui viene interpretata da realtà. Dal momento che le emozioni positive hanno un grande potere di influenza sulle nostre vite è fondamentale concedersi di provarle, cosi come quelle negative: non esistono emozioni di serie a ed emozioni di serie b, ogni emozione ha la sua funzione, si tratta “solo” di capire come non essere sopraffatti dall’emotività, come dice Vasco Rossi…

“Ho fatto un patto sai
Con le mie emozioni
Le lascio vivere
E loro non mi fanno fuori”

 

Attraverso un percorso di psicoterapia è possibile comprendere quale necessità si celi dietro al bisogno di non perdere il controllo ed al timore di stare bene e, via via, abbandonare questo modo di lettura del mondo che di fatto limita di molto le possibilità che ci si presentano ogni giorno.

 

Dott.ssa Giulia Causa 

 

Di seguito il video dell'audizione di Martina Attili, da cui è partita la riflessione di questo articolo. 

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