Dott.ssa GIULIA CAUSA Psicologa e psicoterapeuta a Treviso
Dott.ssa GIULIA CAUSA Psicologa e psicoterapeuta a Treviso

           Vince chi molla. 

“Con un figlio il grande cambiamento è che non ti puoi arroccare su delle posizioni se non vuoi perdere la relazione, ti devi mettere sempre in discussione. Con tutti gli altri, se proprio non vuoi farlo, puoi troncare, persino con tua moglie o tuo marito, ma con un figlio no, non puoi troncare, resti sempre suo padre o sua madre per tutta la vita. Devi trovare altre soluzioni per forza e questo ti fa crescere.” 

Alba Marcoli, Il bambino lasciato solo, p. 174, 175.

 

Capita molto spesso che tra genitori e figli si giochi a “braccio di ferro”, non di rado anche per le cose più banali. La tecnica del braccio di ferro però genera solo perdenti, chi vince, vince solo in apparenza. Caderci e rimanerne invischiati, però, è un attimo. È un gioco psicologico subdolo, nel quale si entra senza rendersene conto ma dal quale poi è difficile uscirne.

Quando scatta il meccanismo, non ci si rende conto nemmeno delle questioni sulle quali si può cedere perché banali e di quelle invece su cui è necessario rimanere fermi. Ci sono situazioni in cui si puo cedere, come ad esempio nelle preferenze del bambino per un gioco piuttosto che per un altro, o nella scelta di un abito, perché in tal modo lo si aiuta nella crescita della propria individualità e autodeterminazione.

 

Ma è fondamentale mettere dei limiti, dei confini netti per evitare di crescere un bambino insicuro e infelice. Sono i cosiddetti “no che aiutano a crescere”.

Darla sempre vinta al proprio figlio per non vederlo soffrire in realtà lo farà crescere insicuro e perennemente insoddisfatto, perché vorrà sempre di più, in un’escalation di richieste che non potranno essere soddisfatte all’infinito, generando quindi frustrazione.

Un bambino ha un bisogno fondamentale durante l’infanzia, ovvero quello di sentirsi protetto da genitori e dagli adulti di riferimento. Questo bisogno di protezione si esplica anche attraverso il mettere dei limiti, che contengano e proteggano.

Se il bambino impara che in casa ci sono delle regole, dunque dei limiti che non devono essere superati, sarà protetto rispetto al mondo esterno nel quale si troverà a vivere, con le sue regole e i suoi limiti. A partire dalla scuola materna si scontrerà con le regole e, se non ne conosce l’utilizzo, si troverà in difficoltà e proverà quindi la sensazione di non essere protetto dai propri genitori. Insegnare al proprio figlio il rispetto del limite e l’invalicabilità di certi confini equivale ad equipaggiarlo alla vita.

 

Il cosiddetto “braccio di ferro” tra genitori e figli, dunque, non è una tecnica efficace per educare i bambini al rispetto delle regole. Non lo è, soprattutto, quando diventa una modalità di funzionamento che tende alla ripetizione e che si attiva in situazioni specifiche, rendendo difficile, se non impossibile, l’uscita dal gioco relazionale che si è creato. In questi casi genitore e figlio sembrano stare sullo stesso piano ed avere la stessa forza e il genitore non riesce a trovare una strategia relazionale alternativa per interrompere la dinamica, foriera solo di perdenti.

 

È possibile individuare una tipologia di genitore che più facilmente rischia di cadere in questa trappola disfunzionale: sono quei genitori che hanno idealizzato il loro ruolo di genitori e quindi il rapporto con il figlio. Sono genitori secondo i quali le cose devono andare sempre bene e che vedono l’imprevisto come un intoppo alla fluidità della vita, dunque vi reagiscono con paura o con rabbia.

 

L’adulto deve quindi elaborare il lutto del genitore perfetto, rinunciando all’idea onnipotente di rendere sempre felice il proprio figlio, accontentandolo in tutto, per evitargli frustrazioni e delusioni.

Il lavoro complesso che deve compiere il genitore è quello di trovare il giusto equilibrio tra gratificazione e frustrazione, equilibrio variabile a seconda del momento di vita e dell’argomento in questione.

Ci sono delle ferite non elaborate in ciascuno di noi ed è sul terreno fertile di queste ferite che la modalità del braccio di ferro si attiva. Sono vissuti del genitore che si rimettono in circolo quando empatizza con il bambino e reagisce alle sue richieste come avrebbe avuto bisogno che i suoi genitori rispondessero alle sue. Cosi facendo però risponde ad un suo bisogno, non a quello del figlio, mettendo in campo un meccanismo chiamato proiezione. Attribuisce cioè al figlio delle esigenze che in realtà non gli appartengono, perdendo di vista il bambino, quando invece pensa di agire per il suo bene.

 

Trovare delle alternative più efficaci al braccio di ferro è possibile, con l’aiuto di uno specialista che aiuti a rimettere ordine nel sentire; capire cosa è del genitore e cosa è del figlio, cosa il genitore sta attribuendo al proprio figlio come proiezione di sé, comprendere cosa c’è dietro al capriccio di un bambino sono solo alcuni dei passaggi necessari al miglioramento della relazione genitori-figli. 

 

Dott.ssa Causa 

 

 

 

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